5 febbraio 2015

L'ora del the - il collocamento che...non colloca!

Il the è una tazza di vita (Anonimo)


05 febbraio 2015
"Illusi, anonimi e competenti incompresi: l'identikit del disoccupato reale"

C’era una volta l’Ufficio di collocamento. Cosa faceva l’Ufficio di collocamento? Per definizione (se non altro) ti collocava. Ti iscrivevi, mantenevi la graduatoria, tenevi duro per 5, 10, 20 anni e poi ti chiamavano. Finita la scuola andavi all’Ufficio di collocamento, facevi ore interminabili di coda, dichiaravi il titolo di studio e tutti i dati e poi sapevi che un giorno lo Stato ti avrebbe aiutato e chiamato per dirti che potevi far domanda per un determinato posto di lavoro perché “rientravi nel punteggio di graduatoria”.
Roba da generazione passata. Roba da sistema fascista. Roba da sistema democristiano. Roba da matti.
Eh, no! Oggi, signori, è tutta un’altra storia. Altra organizzazione,  sistema innovativo. Oggi c’è l’informatica! Oggi c’è internet e se vuoi, con un touch-screen, arrivi ovunque. Oggi non c’è più l’Ufficio di collocamento, oggi ci sono i Centri per l’Impiego e le Agenzie interinali. Immagina, se vuoi.
Andiamo in ordine. L’Ufficio di collocamento di stampo fascista e post-fascista (quello del dopoguerra), nasce per collocare i lavoratori e per mettere in contatto domanda e offerta (lavorativamente parlando). Certo, il sistema era ristretto perché prevedeva un monopolio di settore e i datori di lavoro dovevano necessariamente assumere chi fosse iscritto al benedetto Ufficio. Tant’è, a conti fatti, che le statistiche Istat ci dicono che all’inizio degli Anni ’60 il tasso di disoccupazione era inferiore al 6% (ci sarà pur stato  il monopolio, ma i disoccupati erano meno della metà di oggi).
Poi l’Ufficio di collocamento è morto insieme al monopolio; funerale celebrato in pompa magna con legge Biagi, Centri per l’impiego e Agenzie per il lavoro. Tutti a far baldoria per un funerale (devono essersi ubriacati tutti) e da quel momento in poi non s’è capito più  nulla (o meglio, i dati della disoccupazione  al 12,6% si capiscono eccome, ma questa è altra storia). Evviva la festa a tarallucci e vino, urrà per  i Centri per l’impiego che dipendono dalla Provincia.
Tu ti diplomi, ti laurei, ti prendi una certificazione europea, ti fai un corso di artigianato, insomma ti dai da fare e tutto tronfio ti alzi presto (perché dal dopoguerra ad oggi la fila non è smaltita), ti metti il vestito buono (non si sa mai dovessi incontrare qualche imprenditore in cerca di dipendenti), deodorante, profumo, capello come da campionato mondiale di hair-stylist, prendi tutte le documentazioni (per certificare che nella vita sai fare qualcosa) e finalmente varchi la soglia dell’Centro per l’impiego. Oltrepassata quella porta smetti di esistere come essere umano e diventi un numero. Aspetti, aspetti, aspetti. Nel frattempo cerchi di collegarti al sistema wi-fi della Provincia (perché magari lì sei più vicino e l’annuncio di un posto di lavoro salta fuori prima), ascolti le telefonate altrui, invii mail e curriculum, ti intenerisci davanti alla neo-mamma che allatta il bebè, sbirci il giornale del vicino, ti specchi per controllare i capelli e, finalmente dopo 4 ore ecco che scatta il tuo numero: sei tu, ti hanno nominato! Finalmente puoi dichiarare alla Provincia (e per estensione alla Regione e allo Stato intero) che sei pronto per far parte di quel rapporto domanda-offerta qualificata. L’addetto ti guarda arrivare, ride sotto i baffi ma con faccia imperturbabile: l’addetto ce l’ha un posto di lavoro e di te non gliene può fregare di meno ma tu lo percepisci quando sei a meno di mezzo metro da lui, quando hai già fatto il piegamento di ginocchio che ti farà crollare sull’agognata sedia blu. Gli dai i documenti e quello ti chiede il numero. Ah, già! Sei ancora un numero, ti senti quasi in colpa per avere un nome e un cognome. Preso dalla foga vuoi dargli la copia conforme del certificato di qualifica professionale sul quale hai sputato sangue e quello invece ti dice “dopo...con calma...dopo”. Ti fai un’interiore doccia d’acqua fredda per sbollire i fuochi che ti stanno uscendo dal naso; controlli, non esce fumo e pensi: “tutto sotto controllo”. Rispondi a domande atone banali tipo: indirizzo, coniugato, cap, cellulare, codice fiscale, un documento valido, ultima occupazione. E poi, finalmente, arrivano le fatidiche domande: “titolo di studio? Ha portato una copia conforme del certificato che attesta il titolo di studio? Disoccupato? Da quanto tempo?”. E’ il tuo momento: stai ponendo le basi del tuo futuro lavorativo, devi rimanere tranquillo, calma, calma, non ti agitare! Calma. Calma. Intanto qualcosa non sta andando per il verso giusto e l’addetto ti dice: “ma questa qualifica...di che lavoro si tratta?” Si apre un mondo. Scopri che la tua qualifica professionale, ricevuta dopo aver fatto due anni di corso tenuto dalla Regione e richiesto dalla Comunità Europea, beh...per il Centro per l’impiego semplicemente non esiste. Non fa parte dell’elenco dei lavori inseriti nel programma dei loro innovativi computer. Nel sistema non c’è. Hai poco da fare perché a mano non si può inserire; se quel mestiere non esiste, non esiste! “E non si arrabbi, non è colpa mia”. “E non è neppure colpa mia se io sono qualificato in questo modo come Europa richiede e come Regione finanzia.”. “Ma non si preoccupi, inseriamo la qualifica sotto una voce più generica”. Il mostro che alberga in te sta per uscire fuori ma lo reprimi. Accondiscendi al compromesso storico. Conti fino a dieci (ma qualcosina in più è meglio), respiri, inspiri, espiri, trattieni il fiato, ti concentri e poi con buddistica calma chiedi: “scusi, ma secondo lei quanto tempo ci vorrà prima di essere chiamato per un colloquio?”.
Silenzio. L’addetto è scioccato da tanta ingenuità e si vede che fatica a trattenere rumorose e scomposte risate. Ma lui ha un lavoro, se lo deve tenere, ingoia la risata strozzata sul nascere e si fa serio, ti guarda negli occhi con aria di sfida e ti dice: “ma non verrà mai chiamato, non esistono più le graduatorie”.
Silenzio. Sprofondi nella sedia. Concentri le ultime forze che hai, fai forza sul ginocchio buono, ti alzi, saluti cortesemente e mestamente te ne vai. Fine del giorno di gloria. Fine della speranza. Diventi consapevole che farai ancora parte di quel 12,6% di disoccupati (dichiarati dall’Istat) dei quali tutti continueranno a parlare ma per i quali nessuno muoverà un dito. Ora hai il diritto di essere consapevole che sei stato, sei e sarai solo e inesorabilmente ancora per parecchio tempo un numero. Non ce l’hai tatuato sull’avambraccio, ma quale numero ce l’hai stampato nella mente: sei uno del 12,6%. Sei un numero neanche identificato: sei una parte di percentuale.
Se gli Uffici di collocamento collocano (collocavano), i Centri per l’Impiego possono impiegare (impiegheranno)?
Abbaio alla luna se dico che questa generazione, al pari di quella precedente (che viveva anche grazie alla speranza che se non trovava un lavoro il Collocamento poteva fare qualcosa) ha il diritto di avere un organismo di tutela statale (o regionale o provinciale che sia) che faccia incontrare domanda e offerta? E’ possibile che sia tutto fuori controllo? E’ possibile che se vado in Germania o in Francia mi collocano prima di prendere un assegno di disoccupazione e che qui, in Italia, per avere un assegno devi fare carte false e comunque nessuno ci tiene a collocarti? Stato Italia datti una mossa! Ma quanto stai indietro? Gli altri Paesi corrono sul fronte dell’occupazione e tu non sei in grado di fare un sistema informatico centralizzato per far incontrare domanda (seria) di lavoro e offerta (seria) di lavoro? E’ possibile che in questo Paese a pensare bene bisogna arrivare alla conclusione che questi sistemi non si vogliono fare solo per facilitare connivenze mafiose, familiste o di casta?
Bene, finora abbiamo appurato: 1) che il sistema (per un eventuale impiego) decentralizzato alla Provincia non funziona (e sappiamo che non funziona perché i dati sulla disoccupazione parlano chiaro); 2) che nel 2015 le tecnologie sono oramai ben sviluppate; 3)  che siamo in un mondo competitivo e che facciamo parte dell’Europa.
Ora basta trovare una soluzione! Ecco la proposta: che il sistema dei Centri dell’Impiego divenga funzionale! Uovo di Colombo. Grandi spese? No. Basterebbe una App, o almeno un software centralizzato. Tu disoccupato vai a portare le tue documentazioni presso il Centro per l’Impiego il quale, in formato digitale, archivia tutta la tua anagrafica. Il software (o la App) selezionerà le tue competenze specifiche e di massima. Il datore di lavoro alla ricerca di una figura professionale invia, al Centro per l’Impiego (tramite un form on line) la descrizione della tipologia di mansione ricercata. Il software incrocia i dati di domanda e offerta e, automaticamente (tramite e-mail, niente di stratosferico) avvisa il disoccupato (con i requisiti adatti) dell’apertura di una nuova posizione lavorativa. Il datore di lavoro decide se selezionare personalmente i candidati, affidarsi al Centro per l’Impiego o ad altre agenzie. Ma il vero uovo di Colombo consiste in un duplice controllo a monte in quanto il disoccupato dovrà avere i giusti requisiti per candidarsi, mentre il datore di lavoro dovrà fornire i dati della sua azienda e sarà soggetto a controlli incrociati (con l’Agenzia delle entrate o la Guardia di Finanza o qualsiasi altro organo preposto al controllo) sulla veridicità e serietà della proposta lavorativa. Infondo un sistema così semplice permette anche di controllare meglio evasori e frodi.
Offresi the caldo in giornata uggiosa ad impiegati volenterosi dei Centri per l'impiego. Fuori orario di lavoro, prego. 
Monia G.

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