Il the è una tazza di vita (Anonimo) |
"Illusi, anonimi e competenti incompresi: l'identikit del disoccupato reale"
C’era una volta l’Ufficio di collocamento. Cosa faceva l’Ufficio di collocamento? Per definizione (se non altro) ti collocava. Ti iscrivevi, mantenevi la graduatoria, tenevi duro per 5, 10, 20 anni e poi ti chiamavano. Finita la scuola andavi all’Ufficio di collocamento, facevi ore interminabili di coda, dichiaravi il titolo di studio e tutti i dati e poi sapevi che un giorno lo Stato ti avrebbe aiutato e chiamato per dirti che potevi far domanda per un determinato posto di lavoro perché “rientravi nel punteggio di graduatoria”.
Roba da generazione passata. Roba da sistema fascista. Roba
da sistema democristiano. Roba da matti.
Eh, no! Oggi, signori, è tutta un’altra storia. Altra
organizzazione, sistema innovativo. Oggi
c’è l’informatica! Oggi c’è internet e se vuoi, con un touch-screen, arrivi
ovunque. Oggi non c’è più l’Ufficio di collocamento, oggi ci sono i Centri per
l’Impiego e le Agenzie interinali. Immagina, se vuoi.
Andiamo in ordine. L’Ufficio di collocamento di stampo
fascista e post-fascista (quello del dopoguerra), nasce per collocare i
lavoratori e per mettere in contatto domanda e offerta (lavorativamente
parlando). Certo, il sistema era ristretto perché prevedeva un monopolio di
settore e i datori di lavoro dovevano necessariamente assumere chi fosse
iscritto al benedetto Ufficio. Tant’è, a conti fatti, che le statistiche Istat
ci dicono che all’inizio degli Anni ’60 il tasso di disoccupazione era
inferiore al 6% (ci sarà pur stato il
monopolio, ma i disoccupati erano meno della metà di oggi).
Poi l’Ufficio di collocamento è morto insieme al monopolio;
funerale celebrato in pompa magna con legge Biagi, Centri per l’impiego e
Agenzie per il lavoro. Tutti a far baldoria per un funerale (devono essersi
ubriacati tutti) e da quel momento in poi non s’è capito più nulla (o meglio, i dati della
disoccupazione al 12,6% si capiscono
eccome, ma questa è altra storia). Evviva la festa a tarallucci e vino, urrà
per i Centri per l’impiego che dipendono
dalla Provincia.
Tu ti diplomi, ti laurei, ti prendi una certificazione
europea, ti fai un corso di artigianato, insomma ti dai da fare e tutto tronfio
ti alzi presto (perché dal dopoguerra ad oggi la fila non è smaltita), ti metti
il vestito buono (non si sa mai dovessi incontrare qualche imprenditore in
cerca di dipendenti), deodorante, profumo, capello come da campionato mondiale
di hair-stylist, prendi tutte le documentazioni (per certificare che nella vita
sai fare qualcosa) e finalmente varchi la soglia dell’Centro per l’impiego.
Oltrepassata quella porta smetti di esistere come essere umano e diventi un numero.
Aspetti, aspetti, aspetti. Nel frattempo cerchi di collegarti al sistema wi-fi
della Provincia (perché magari lì sei più vicino e l’annuncio di un posto di
lavoro salta fuori prima), ascolti le telefonate altrui, invii mail e
curriculum, ti intenerisci davanti alla neo-mamma che allatta il bebè, sbirci
il giornale del vicino, ti specchi per controllare i capelli e, finalmente dopo
4 ore ecco che scatta il tuo numero: sei tu, ti hanno nominato! Finalmente puoi
dichiarare alla Provincia (e per estensione alla Regione e allo Stato intero)
che sei pronto per far parte di quel rapporto domanda-offerta qualificata.
L’addetto ti guarda arrivare, ride sotto i baffi ma con faccia imperturbabile:
l’addetto ce l’ha un posto di lavoro e di te non gliene può fregare di meno ma
tu lo percepisci quando sei a meno di mezzo metro da lui, quando hai già fatto
il piegamento di ginocchio che ti farà crollare sull’agognata sedia blu. Gli
dai i documenti e quello ti chiede il numero. Ah, già! Sei ancora un numero, ti
senti quasi in colpa per avere un nome e un cognome. Preso dalla foga vuoi
dargli la copia conforme del certificato di qualifica professionale sul quale
hai sputato sangue e quello invece ti dice “dopo...con calma...dopo”. Ti fai
un’interiore doccia d’acqua fredda per sbollire i fuochi che ti stanno uscendo
dal naso; controlli, non esce fumo e pensi: “tutto sotto controllo”. Rispondi a
domande atone banali tipo: indirizzo, coniugato, cap, cellulare, codice
fiscale, un documento valido, ultima occupazione. E poi, finalmente, arrivano
le fatidiche domande: “titolo di studio? Ha portato una copia conforme del
certificato che attesta il titolo di studio? Disoccupato? Da quanto tempo?”. E’
il tuo momento: stai ponendo le basi del tuo futuro lavorativo, devi rimanere
tranquillo, calma, calma, non ti agitare! Calma. Calma. Intanto qualcosa non sta
andando per il verso giusto e l’addetto ti dice: “ma questa qualifica...di che
lavoro si tratta?” Si apre un mondo. Scopri che la tua qualifica professionale,
ricevuta dopo aver fatto due anni di corso tenuto dalla Regione e richiesto
dalla Comunità Europea, beh...per il Centro per l’impiego semplicemente non
esiste. Non fa parte dell’elenco dei lavori inseriti nel programma dei loro
innovativi computer. Nel sistema non c’è. Hai poco da fare perché a mano non si
può inserire; se quel mestiere non esiste, non esiste! “E non si arrabbi, non è
colpa mia”. “E non è neppure colpa mia se io sono qualificato in questo modo
come Europa richiede e come Regione finanzia.”. “Ma non si preoccupi, inseriamo
la qualifica sotto una voce più generica”. Il mostro che alberga in te sta per
uscire fuori ma lo reprimi. Accondiscendi al compromesso storico. Conti fino a
dieci (ma qualcosina in più è meglio), respiri, inspiri, espiri, trattieni il
fiato, ti concentri e poi con buddistica calma chiedi: “scusi, ma secondo lei
quanto tempo ci vorrà prima di essere chiamato per un colloquio?”.
Silenzio. L’addetto è scioccato da tanta ingenuità e si vede
che fatica a trattenere rumorose e scomposte risate. Ma lui ha un lavoro, se lo
deve tenere, ingoia la risata strozzata sul nascere e si fa serio, ti guarda
negli occhi con aria di sfida e ti dice: “ma non verrà mai chiamato, non
esistono più le graduatorie”.
Silenzio. Sprofondi nella sedia. Concentri le ultime forze
che hai, fai forza sul ginocchio buono, ti alzi, saluti cortesemente e
mestamente te ne vai. Fine del giorno di gloria. Fine della speranza. Diventi
consapevole che farai ancora parte di quel 12,6% di disoccupati (dichiarati
dall’Istat) dei quali tutti continueranno a parlare ma per i quali nessuno
muoverà un dito. Ora hai il diritto di essere consapevole che sei stato, sei e
sarai solo e inesorabilmente ancora per parecchio tempo un numero. Non ce l’hai
tatuato sull’avambraccio, ma quale numero ce l’hai stampato nella mente: sei
uno del 12,6%. Sei un numero neanche identificato: sei una parte di
percentuale.
Se gli Uffici di collocamento collocano (collocavano), i Centri
per l’Impiego possono impiegare (impiegheranno)?
Abbaio alla luna se dico che questa generazione, al pari di quella precedente (che viveva anche grazie alla speranza che se non trovava un lavoro il Collocamento poteva fare qualcosa) ha il diritto di avere un organismo di tutela statale (o regionale o provinciale che sia) che faccia incontrare domanda e offerta? E’ possibile che sia tutto fuori controllo? E’ possibile che se vado in Germania o in Francia mi collocano prima di prendere un assegno di disoccupazione e che qui, in Italia, per avere un assegno devi fare carte false e comunque nessuno ci tiene a collocarti? Stato Italia datti una mossa! Ma quanto stai indietro? Gli altri Paesi corrono sul fronte dell’occupazione e tu non sei in grado di fare un sistema informatico centralizzato per far incontrare domanda (seria) di lavoro e offerta (seria) di lavoro? E’ possibile che in questo Paese a pensare bene bisogna arrivare alla conclusione che questi sistemi non si vogliono fare solo per facilitare connivenze mafiose, familiste o di casta?
Abbaio alla luna se dico che questa generazione, al pari di quella precedente (che viveva anche grazie alla speranza che se non trovava un lavoro il Collocamento poteva fare qualcosa) ha il diritto di avere un organismo di tutela statale (o regionale o provinciale che sia) che faccia incontrare domanda e offerta? E’ possibile che sia tutto fuori controllo? E’ possibile che se vado in Germania o in Francia mi collocano prima di prendere un assegno di disoccupazione e che qui, in Italia, per avere un assegno devi fare carte false e comunque nessuno ci tiene a collocarti? Stato Italia datti una mossa! Ma quanto stai indietro? Gli altri Paesi corrono sul fronte dell’occupazione e tu non sei in grado di fare un sistema informatico centralizzato per far incontrare domanda (seria) di lavoro e offerta (seria) di lavoro? E’ possibile che in questo Paese a pensare bene bisogna arrivare alla conclusione che questi sistemi non si vogliono fare solo per facilitare connivenze mafiose, familiste o di casta?
Bene, finora abbiamo appurato: 1) che il sistema (per un
eventuale impiego) decentralizzato alla Provincia non funziona (e sappiamo che
non funziona perché i dati sulla disoccupazione parlano chiaro); 2) che nel 2015
le tecnologie sono oramai ben sviluppate; 3)
che siamo in un mondo competitivo e che facciamo parte dell’Europa.
Offresi the caldo in giornata uggiosa ad impiegati volenterosi dei Centri per l'impiego. Fuori orario di lavoro, prego.
Monia G.
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