8 febbraio 2015

L'ora del the - piloti e stereotipi


Il the è una tazza di vita. (Anonimo)

08 febbraio 2015
"Quando il presunto furbetto è il pilota..."

Italiani mafiosi; francesi snob; genovesi col braccino corto; tedeschi col calzino e la ciabatta; brasiliani calciatori; americani mangiatori di hot dog; gli artisti sono pazzi; le donne non hanno il senso dell'orientamento; i russi bevono vodka; i cinesi non muoiono. Appare evidente che gli stereotipi non corrispondono a realtà (ma che gli uomini in cucina sporcano in ogni dove un fondo di verità ce l'ha); non sono un diktat, ma si faccia avanti chi non vi si è mai affidato.
Poi ci sono stereotipi su alcune categorie di lavoratori: i politici, i venditori di macchine, aspirapolvere e depuratori per l'acqua sono inaffidabili per antonomasia; i medici (di ogni ordine e grado), i militari (di alto grado) e gli astronauti sono affidabilissimi. I giapponesi, di tutte le categorie, lavorano ventidue ore al giorno.
Siamo abituati a categorizzare e ci troviamo bene, tutto sommato, ma non ci devono venire a mettere la pulce nell'orecchio quando si tratta dei piloti d'aereo, perchè così si passa dallo stereotipo alla cattiveria!
I piloti d'aereo sono intoccabili, quantomeno perchè non hanno paura di volare. Icaro ne avrebbe fatto una statua. I fratelli Montgolfier li avrebbero idolatrati. I soldati che in trincea si vedevano sorvolati dagli aerei sognavano di volare via dalla guerra e, fantasticando fantasticando, speravano in un giorno migliore. Per noi figli degli anni Ottanta, invece, i piloti d'aereo sono tutti Maverik o Iceman: Top Gun docet. Per i bambini i piloti sono gli eroi dell'aria. Per chi viaggia in aeroplano sono l'ancora di salvezza, l'unica fune in grado di non farti andare definitivamente in cielo quando ti trovi a 10.000 metri da terra.
E da oggi cercano di farci credere che dei piloti mangiaspaghetti hanno cercato di frodare il fisco percependo mobilità a cinque zeri e, contemporaneamente, lavorando con compagnie straniere su tratte internazionali! Ho bisogno di the, doppio con doppio zucchero!
I Top Gun non sono affidabili, il capitano non affonda più con la sua nave, il posto fisso non esiste più, le mezze stagioni sono sparite, gli uomini si fanno la ceretta total body e le donne hanno meno incidenti in macchina degli uomini. Spero che questo the bollente faccia effetto in fretta e mi svegli presto da quest'incubo perchè se andiamo avanti in questo modo non so più a quali stereotipi aggrapparmi.
Monia G.

6 febbraio 2015

L'ora del the - Spreco? Di tempo.

Il the è una tazza di vita (Anonimo)


06 febbraio 2015
"Oggi si combatte lo spreco alimentare".

Oggi è la giornata di prevenzione dello spreco alimentare.
Le ultime stime dicono che "ogni cittadino butta nella spazzature 76 chilogrammi di cibi vari ogni anno". Non si deve sprecare e siamo tutti in pacifico accordo.
Ma, giusto per mandare di traverso il the pomeridiano a qualcuno, vorrei rimarcare che, "noi spreconi", siamo figli inconsapevoli della solita Italietta (adoro la definizione!) che predica bene e razzola male.
Se il bambino sente parolacce uscire dalla bocca di mamma e papà, cosa farà? Le dirà anche lui! Santi pedagoghi da quanto tempo si svociano sull'argomento!
L'ultimo nato della tribù dei Niam Niam (notoriamente dedita al feroce cannibalismo), poteva diventare vegetariano? Non ci vuole un pedagogista per avere una risposta.
E così "noi spreconi" siamo figli di quelle politiche che nel corso del tempo hanno sperperato su ogni ben di Dio.
Auto blu per tutti e (addirittura) deteniamo il record mondiale. Il "ponte scivoloso" costruito a Venezia. Il palazzo dell'Inail costruito e mai utilizzato. Il contributo dato per la realizzazione di un museo mai costruito. Le barche acquistate dal comune senza avere i conducenti (mai assunti).
Gli scandali delle grandi opere e la magia della "lievitazione" dei costi: la Salerno-Reggio Calabria, il Mose e le dighe mobili di Venezia, la stazione ferroviaria di Matera (che è capitale europea della cultura, mica delle comunicazioni!), la diga di Pappalai nel tarantino (costruita, sì, ma non contiene acqua, bensì rifiuti - nemmeno buoni per la differenziata), la costruzione dell'arsenale per il G8 alla Maddalena (poi fatto a L'Aquila), l'ospedale di Gerace nel reggino (costruito, arredato, completato dai macchinari e mai inaugurato).
Poi ci sono gli sprechi "invisibili" come la mancata valorizzazione di siti archeologici, turistici, ambientali che potrebbero essere fonte di inestimabili guadagni per lo Stato e di occupazione per i cittadini. Le mafie, le corruzioni, i rotoli di carta da 17 euro l'uno (neppure fossero stati firmati da Cavour in persona), i va' e vieni della spazzatura.
Dopo tutti questi "buoni esempi" arriva la ramanzina indiretta del controllo dello spreco alimentare che vede gettare nel cestino 200 grammi al giorno di cibo (un totale di 76 chilogrammi all'anno).
E aspetto l'intervento del pedagogo di turno faccia la morale sull'educazione civica a chi di dovere. E se ciò accadesse lo aspetterei per la prossima tazza di the.
Monia G.

5 febbraio 2015

L'ora del the - il collocamento che...non colloca!

Il the è una tazza di vita (Anonimo)


05 febbraio 2015
"Illusi, anonimi e competenti incompresi: l'identikit del disoccupato reale"

C’era una volta l’Ufficio di collocamento. Cosa faceva l’Ufficio di collocamento? Per definizione (se non altro) ti collocava. Ti iscrivevi, mantenevi la graduatoria, tenevi duro per 5, 10, 20 anni e poi ti chiamavano. Finita la scuola andavi all’Ufficio di collocamento, facevi ore interminabili di coda, dichiaravi il titolo di studio e tutti i dati e poi sapevi che un giorno lo Stato ti avrebbe aiutato e chiamato per dirti che potevi far domanda per un determinato posto di lavoro perché “rientravi nel punteggio di graduatoria”.
Roba da generazione passata. Roba da sistema fascista. Roba da sistema democristiano. Roba da matti.
Eh, no! Oggi, signori, è tutta un’altra storia. Altra organizzazione,  sistema innovativo. Oggi c’è l’informatica! Oggi c’è internet e se vuoi, con un touch-screen, arrivi ovunque. Oggi non c’è più l’Ufficio di collocamento, oggi ci sono i Centri per l’Impiego e le Agenzie interinali. Immagina, se vuoi.
Andiamo in ordine. L’Ufficio di collocamento di stampo fascista e post-fascista (quello del dopoguerra), nasce per collocare i lavoratori e per mettere in contatto domanda e offerta (lavorativamente parlando). Certo, il sistema era ristretto perché prevedeva un monopolio di settore e i datori di lavoro dovevano necessariamente assumere chi fosse iscritto al benedetto Ufficio. Tant’è, a conti fatti, che le statistiche Istat ci dicono che all’inizio degli Anni ’60 il tasso di disoccupazione era inferiore al 6% (ci sarà pur stato  il monopolio, ma i disoccupati erano meno della metà di oggi).
Poi l’Ufficio di collocamento è morto insieme al monopolio; funerale celebrato in pompa magna con legge Biagi, Centri per l’impiego e Agenzie per il lavoro. Tutti a far baldoria per un funerale (devono essersi ubriacati tutti) e da quel momento in poi non s’è capito più  nulla (o meglio, i dati della disoccupazione  al 12,6% si capiscono eccome, ma questa è altra storia). Evviva la festa a tarallucci e vino, urrà per  i Centri per l’impiego che dipendono dalla Provincia.
Tu ti diplomi, ti laurei, ti prendi una certificazione europea, ti fai un corso di artigianato, insomma ti dai da fare e tutto tronfio ti alzi presto (perché dal dopoguerra ad oggi la fila non è smaltita), ti metti il vestito buono (non si sa mai dovessi incontrare qualche imprenditore in cerca di dipendenti), deodorante, profumo, capello come da campionato mondiale di hair-stylist, prendi tutte le documentazioni (per certificare che nella vita sai fare qualcosa) e finalmente varchi la soglia dell’Centro per l’impiego. Oltrepassata quella porta smetti di esistere come essere umano e diventi un numero. Aspetti, aspetti, aspetti. Nel frattempo cerchi di collegarti al sistema wi-fi della Provincia (perché magari lì sei più vicino e l’annuncio di un posto di lavoro salta fuori prima), ascolti le telefonate altrui, invii mail e curriculum, ti intenerisci davanti alla neo-mamma che allatta il bebè, sbirci il giornale del vicino, ti specchi per controllare i capelli e, finalmente dopo 4 ore ecco che scatta il tuo numero: sei tu, ti hanno nominato! Finalmente puoi dichiarare alla Provincia (e per estensione alla Regione e allo Stato intero) che sei pronto per far parte di quel rapporto domanda-offerta qualificata. L’addetto ti guarda arrivare, ride sotto i baffi ma con faccia imperturbabile: l’addetto ce l’ha un posto di lavoro e di te non gliene può fregare di meno ma tu lo percepisci quando sei a meno di mezzo metro da lui, quando hai già fatto il piegamento di ginocchio che ti farà crollare sull’agognata sedia blu. Gli dai i documenti e quello ti chiede il numero. Ah, già! Sei ancora un numero, ti senti quasi in colpa per avere un nome e un cognome. Preso dalla foga vuoi dargli la copia conforme del certificato di qualifica professionale sul quale hai sputato sangue e quello invece ti dice “dopo...con calma...dopo”. Ti fai un’interiore doccia d’acqua fredda per sbollire i fuochi che ti stanno uscendo dal naso; controlli, non esce fumo e pensi: “tutto sotto controllo”. Rispondi a domande atone banali tipo: indirizzo, coniugato, cap, cellulare, codice fiscale, un documento valido, ultima occupazione. E poi, finalmente, arrivano le fatidiche domande: “titolo di studio? Ha portato una copia conforme del certificato che attesta il titolo di studio? Disoccupato? Da quanto tempo?”. E’ il tuo momento: stai ponendo le basi del tuo futuro lavorativo, devi rimanere tranquillo, calma, calma, non ti agitare! Calma. Calma. Intanto qualcosa non sta andando per il verso giusto e l’addetto ti dice: “ma questa qualifica...di che lavoro si tratta?” Si apre un mondo. Scopri che la tua qualifica professionale, ricevuta dopo aver fatto due anni di corso tenuto dalla Regione e richiesto dalla Comunità Europea, beh...per il Centro per l’impiego semplicemente non esiste. Non fa parte dell’elenco dei lavori inseriti nel programma dei loro innovativi computer. Nel sistema non c’è. Hai poco da fare perché a mano non si può inserire; se quel mestiere non esiste, non esiste! “E non si arrabbi, non è colpa mia”. “E non è neppure colpa mia se io sono qualificato in questo modo come Europa richiede e come Regione finanzia.”. “Ma non si preoccupi, inseriamo la qualifica sotto una voce più generica”. Il mostro che alberga in te sta per uscire fuori ma lo reprimi. Accondiscendi al compromesso storico. Conti fino a dieci (ma qualcosina in più è meglio), respiri, inspiri, espiri, trattieni il fiato, ti concentri e poi con buddistica calma chiedi: “scusi, ma secondo lei quanto tempo ci vorrà prima di essere chiamato per un colloquio?”.
Silenzio. L’addetto è scioccato da tanta ingenuità e si vede che fatica a trattenere rumorose e scomposte risate. Ma lui ha un lavoro, se lo deve tenere, ingoia la risata strozzata sul nascere e si fa serio, ti guarda negli occhi con aria di sfida e ti dice: “ma non verrà mai chiamato, non esistono più le graduatorie”.
Silenzio. Sprofondi nella sedia. Concentri le ultime forze che hai, fai forza sul ginocchio buono, ti alzi, saluti cortesemente e mestamente te ne vai. Fine del giorno di gloria. Fine della speranza. Diventi consapevole che farai ancora parte di quel 12,6% di disoccupati (dichiarati dall’Istat) dei quali tutti continueranno a parlare ma per i quali nessuno muoverà un dito. Ora hai il diritto di essere consapevole che sei stato, sei e sarai solo e inesorabilmente ancora per parecchio tempo un numero. Non ce l’hai tatuato sull’avambraccio, ma quale numero ce l’hai stampato nella mente: sei uno del 12,6%. Sei un numero neanche identificato: sei una parte di percentuale.
Se gli Uffici di collocamento collocano (collocavano), i Centri per l’Impiego possono impiegare (impiegheranno)?
Abbaio alla luna se dico che questa generazione, al pari di quella precedente (che viveva anche grazie alla speranza che se non trovava un lavoro il Collocamento poteva fare qualcosa) ha il diritto di avere un organismo di tutela statale (o regionale o provinciale che sia) che faccia incontrare domanda e offerta? E’ possibile che sia tutto fuori controllo? E’ possibile che se vado in Germania o in Francia mi collocano prima di prendere un assegno di disoccupazione e che qui, in Italia, per avere un assegno devi fare carte false e comunque nessuno ci tiene a collocarti? Stato Italia datti una mossa! Ma quanto stai indietro? Gli altri Paesi corrono sul fronte dell’occupazione e tu non sei in grado di fare un sistema informatico centralizzato per far incontrare domanda (seria) di lavoro e offerta (seria) di lavoro? E’ possibile che in questo Paese a pensare bene bisogna arrivare alla conclusione che questi sistemi non si vogliono fare solo per facilitare connivenze mafiose, familiste o di casta?
Bene, finora abbiamo appurato: 1) che il sistema (per un eventuale impiego) decentralizzato alla Provincia non funziona (e sappiamo che non funziona perché i dati sulla disoccupazione parlano chiaro); 2) che nel 2015 le tecnologie sono oramai ben sviluppate; 3)  che siamo in un mondo competitivo e che facciamo parte dell’Europa.
Ora basta trovare una soluzione! Ecco la proposta: che il sistema dei Centri dell’Impiego divenga funzionale! Uovo di Colombo. Grandi spese? No. Basterebbe una App, o almeno un software centralizzato. Tu disoccupato vai a portare le tue documentazioni presso il Centro per l’Impiego il quale, in formato digitale, archivia tutta la tua anagrafica. Il software (o la App) selezionerà le tue competenze specifiche e di massima. Il datore di lavoro alla ricerca di una figura professionale invia, al Centro per l’Impiego (tramite un form on line) la descrizione della tipologia di mansione ricercata. Il software incrocia i dati di domanda e offerta e, automaticamente (tramite e-mail, niente di stratosferico) avvisa il disoccupato (con i requisiti adatti) dell’apertura di una nuova posizione lavorativa. Il datore di lavoro decide se selezionare personalmente i candidati, affidarsi al Centro per l’Impiego o ad altre agenzie. Ma il vero uovo di Colombo consiste in un duplice controllo a monte in quanto il disoccupato dovrà avere i giusti requisiti per candidarsi, mentre il datore di lavoro dovrà fornire i dati della sua azienda e sarà soggetto a controlli incrociati (con l’Agenzia delle entrate o la Guardia di Finanza o qualsiasi altro organo preposto al controllo) sulla veridicità e serietà della proposta lavorativa. Infondo un sistema così semplice permette anche di controllare meglio evasori e frodi.
Offresi the caldo in giornata uggiosa ad impiegati volenterosi dei Centri per l'impiego. Fuori orario di lavoro, prego. 
Monia G.

4 febbraio 2015

L'ora del the - A.A.A. opere d'arte cercasi.

Il the è una tazza di vita (Anonimo)


04 febbraio 2015
"Ho scoperto quei capolavori per caso."

Per il buongiorno la prima notizia è che la casa d'aste più famosa del mondo ha venduto cinque Monet a più di settantatre milioni di euro.
Navigo (sul web) e incappo in vecchie notizie di gente che ritrova per caso quadri di valore.
E' la giornata dell'arte. Bandiera bianca.
Lambiccarsi il cervello non servirà a placare l'idea di essere stata sempre nei posti sbagliati e, perdipiù, aver fatto acquisti inutili, ma quantomeno placherà l'invidia.
Chissà quanto tempo avranno cercato e ricercato quelle opere - mi dico. Quanta fatica! Quale strazio!
Invece no.
C'è chi ha partecipato ad un'asta e per quarantacinquemila lire si è aggiudicato un Bonnard e un Gauguin che attualmente valgono, rispettivamente, seicentomila euro il primo e tra i quindici e i trenta milioni di euro il secondo. Meglio del primo premio della lotteria.
C'è chi, al mercatino delle pulci, acquista un bel quadro per cinquanta dollari che poi scopre essere un Renoir dal valore di settantacinque - centomila dollari.
C'è chi, nell'ennesimo mercatino, compra una tela rovinata che nel restauro si rivela un Picasso.
E poi chi trova litografie, bozzetti, e schizzi vari.
Chi compra a quaranta euro e dopo pochi giorni rivende a cinquemila.
Comprendo solo ora, in notevole ritardo sull'età anagrafica, il perchè di tanto affaticamento nell'andare in giro per mercatini delle pulci.
Ma ci sono anche quelli che, la fortuna, se la trovano in casa: chi trova vecchi buoni del tesoro da cinquantamila lire e li cambia con centottantacinquemila euro; chi ne trova due e raccimola trecentosettantamila euro. Senza neppure lo sforzo di piegarsi tra i banchi del mercatino.
Alla faccia di tutti noi che, quando andiamo al mercatino, torniamo straziati per aver combattuto con le vecchiette col carrello e quando sistemiamo la spesa ci ritroviamo con aggeggi improbabili tipo scarpe con portarossetto incorporato nel tacco, fermaporta a forma di gatto "spiaccicato" a terra, set di forchette girevoli e il pesce che separa il tuorlo dall'albume.
Giro ancora su internet mentre sorseggio la mia tazza di the. Finalmente la notizia che cercavo: il museo degli oggetti inutili esiste e si trova in Austria. Sarà pronto a darmi diecimila euro per il portamine cinese nel quale le mine non entrano?
Monia G.

3 febbraio 2015

L'ora del the: la novità della corruzione negli uffici pubblici.

Il the è una tazza di vita (Anonimo)


03 febbraio 2015
"Corruzione: arrestati funzionari del Comune di Roma".

Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di corruzione negli uffici pubblici (non valgono i voti di chi si è trasferito nel Belpaese da poco tempo; abbassate quelle mani!).
Proprio per chi non lo sapesse, diciamo che la corruzione è "l'atto di induzione, con denaro o promesse, al venir meno del dovere".
Ah, bene. Allora sappiamo tutti di cosa parliamo oggi (stranieri compresi).
Conosciamo la linea di demarcazione tra bene e male, dove stanno i buoni e i cattivi. In "tutti noi" comprendo anche le Forze dell'ordine che, disgraziate loro, da decenni rincorrono i soliti furbetti.
Stavolta però, signore e signori, si è verificato un doppio salto mortale del malaffare. Il fattaccio è targato Roma Capitale ma, da buoni italiani, sappiamo che chiunque, in qualsiasi Comune del Paese, può essere "beccato" con le mani nella stessa marmellata. Specificazione fatta al fine di non far aprire la bocca a chi voleva provare a dire qualcosa tipo "ma da noi è diverso".
Una volta si chiamava Democrazia Cristiana: mangiavano loro - si diceva - ma facevano mangiare tutti. Ero bambina.
Poi si chiamava Tangentopoli. Ero adolescente.
Poi si chiamava Mafia ripulita (mica quella della lupara): ero già adulta.
Ora sono finiti gli appellativi, specialmente nell'edilizia.
Da un lato gli impiegati vogliono commettere illeciti del tipo: autorizzare lavori edilizi, chiudere gli occhi sugli abusi nei cantieri e realizzare entrate a man bassa.
Dall'altro lato i costruttori vogliono: la modifica dei progetti già presentati, che non vi siano controlli sui cantieri e costruire a man bassa.
C'è da alambiccarsi il cervello a capire dove stanno un briciolo di (a scelta): umiltà, correttezza, buon senso, senso civico, dedizione al lavoro, integerrima rettitudine e onestà.
I costruttori (almeno qui a Roma) hanno costruito ovunque e, negli anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo sull'urbanistica cittadina (e, come prima, il "da noi è diverso" non è credibile). Di più: hanno costruito, col benestare di qualcuno, è ovvio, interi quartieri dormitorio senza realizzare alcun servizio al cittadino (mezzi pubblici in prima linea). Avevano un bel da fare i costruttori per convincere l'impiegato di turno ad accettare mazzette.
Gli impiegati si sono gonfiati portafogli e conti in banca forti di un posto di lavoro (vorrei ben vederla la competenza) stabile e costantemente retribuito. Avevano un bel da fare gli impiegati per nascondere le mazzette e fare in modo che tutto andasse liscio.
Ma ora c'è la novità del tariffario: il costruttore va dall'impiegato e gli dice "voglio evitare i controlli della Asl" e l'impiegato risponde "1.000 euro". E i controlli non arrivano. Oppure il costruttore va dall'impiegato, gli dà 1.000 euro e quello sa già di non dover mandare i controlli della Asl. Senza spreco di conversazioni. La novità del tariffario, quindi, è che riduce le comunicazioni, standardizza i costi, evita le polemiche (tipo:"all'altro costruttore gli hai chiesto 700 euro, perchè a me 1.000?"), ottimizza i tempi. Morale: sempre meglio mettere tutto per iscritto.
Ho voglia di the caldo che faccia rinascere. Che purifichi dal senso di depressione e sconcerto che viene quando parli di alcuni argomenti. Fumante, alla vaniglia. Una zolletta di zucchero. Una tazza capiente.
Anche per noi comuni cittadini (che di corruzione e concussione non ne possiamo più) avremo diritto ad un tariffario di risarcimento personale:
- 100 euro per ogni notizia letta o ascoltata su casi di corruzione e malaffare;
- 1.000 euro per ogni abuso edilizio commesso (almeno dagli ultimi trent'anni a questa parte);
- 10.000 euro per ogni controllo da  parte degli uffici pubblici non effettuato;
- 100.000 euro per ogni costruzione portata a termine senza aver realizzato prima i servizi al cittadino;
- 1.000.000 di euro per ogni parola detta dai poltici sulla lotta a questi abusi;
- restituzione (a tassi non usurai) del maltolto: lavoro ai lavoratori onesti e possibilità di lavoro agli imprenditori onesti.
- raccolta del thè negli altopiani dello Sry Lanka (vita natural durante) per tutti i corrotti, corruttori, concussi, concussori, impiegati e imprenditori collusi.
Adesso anch'io ho il mio personalissimo tariffario. Evviva.
Monia G.

2 febbraio 2015

L'ora del the - il giorno della candelora

Il the è una tazza di vita (Anonimo)


02 febbraio 2015
"La candelora e il dilemma del centro".

Appena sveglia, stamattina, ho deciso di aprire Facebook, di solito nessun trauma al riguardo, ma oggi... tutti si sono svegliati (i mattinieri) con il tarlo della Candelora. Decine di post letti e io giù a fare le scale a quattro a quattro per vedere che tempo facesse ma, soprattutto, per capire se i proverbi c'azzeccano o meno.
Apro le finestre: sole e freddo becco.
I post i più gettonati sono due.
Primo: "per la santa Candelora se nevica o se pioa dell'inverno semo fora".
Secondo: "se nella Candelora non piove, l'inverno muore".
Confusione.
Se sto a sentire il primo post devo urgentemente andare ad acquistare doposci e maglia termica a collo alto.
Per il secondo, invece, da domani giubbino jeans e pantalone di cotone.
Confusione doppia.
All'ora del the oggi ci riuniamo tra amiche e pongo la questione della Candelora. Apriti cielo! Ognuna ha difeso a spron battuto il proprio intoccabile e indiscutibile proverbio. E tutte a voler ragione.
Poi è arrivata Clara col suo migliaccio. Lei sì che è una tipa precisa: il dolce della Candelora non poteva mancare. E siccome la discussione si è animata, la fame ha avuto la meglio e il buon migliaccio è sparito dalla tavola in un batter di ciglia.
Sempre Clara, oggi oltre che ottima chef anche in veste di saggia, ha acquietato gli animi sentenziando che i proverbi cambiano a seconda se che la loro elaborazione sia avvenuta al nord o al sud.
Se non sapessi che i proverbi hanno origini lontanissime (e in questo caso, addirittura, di rimando religioso), potrei pensare che quello della Candelora sia stato inventato da un politico: come dire tutto e non dire niente, come dire tutto e il suo contrario. Uno di quei politici, non so se avete presente, che un giorno dicono bianco e l'altro nero (rarità, certo. E' solo un esempio; i politici italiani non sono così incoerenti...)
In ogni caso, visto che ora abbiamo un nuovo Presidente della Repubblica, vorrei chiedergli di far elaborare un proverbio sulla Candelora più univoco e chiaro e che, soprattutto, vada bene al nord, al sud e noi del centro. Se iniziasse da qui sarebbe un bel segnale, almeno così, all'ora del the della prossima Candelora potremo goderci meglio il migliaccio di Clara!
Monia G.